Da qualche tempo alcuni teatri di New York City riconoscono di sorgere su terreni originariamente abitati da membri della tribù indigena Lenape. In questo momento il Teatro Pubblico amplia questi riconoscimenti mettendoli in scena.
La produzione è di Mary Kathryn Nagle Manahatta, che è stato in fase di sviluppo del teatro pubblico per un decennio ed è ora benvenuto come lo sono stati i Lenape negli ultimi quattrocento anni e più a Lower Manhattan. Va bene, concesso, forse non così spesso ampiamente accolto.
Il drammaturgo Nagle, cittadino della nazione Cherokee, ha immaginato in modo cupo e arguto due periodi di tempo durante i quali si svolge l’azione. Una è la fase Manahatta in cui la popolazione nativa viveva mentre gli olandesi arrivavano con intenzioni acquisitive. Inizialmente iniziò il commercio di pellicce, con il wampum come valuta di scambio per poi passare, dettato dai nuovi predoni, ai dollari.
[Read Frank Scheck’s ★★★☆☆ review here.]
Il secondo arco temporale riguarda i due anni che precedono il disastroso 2008 per il mercato azionario. Una discendente di Lenape lascia la sua famiglia ad Anadarko, in Oklahoma, per lavorare a Wall Street come trader. È la prima donna a ricoprire la decantata posizione. (Non trascurare Nagle che abbina astutamente la prima forma di trading con quest’ultima forma, entrambe non così diverse se ci pensi.)
Nelle sequenze del XVII secolo, le sorelle Le-le-wa’-you (Elizabeth Francis) e Toosh-ki-pa-kwis-i (Rainbow Dickerson) interagiscono con la loro madre (Sheila Tousey) e con Se-ket-tu- may-qua (Enrico Nassi), amante di Le-le-wa’-you. I quattro interagiscono con Peter Minuit (Jeffrey King), Jakob (Joe Tapper) e Jonas Michaelius (David Kelly), portando alla famigerata vendita manipolativa di Manahatta del 1626. (Sebbene tutti conoscano – o pensino di conoscere – il prezzo di Manhattan di 24 dollari, Nagle sceglie di non includerlo, senza dubbio per ragioni di precisione inconcludenti.)
Nelle sequenze del 21° secolo, l’aspirante e allora commerciante Jane Snake (Francis) si scontra con il polemico broker Joe (Tapper), che all’inizio è riluttante ad assumerla. Si mescola anche con il superiore aziendale Dick (King) e il collega Michael (Kelly) mentre bighellonano nel mercato finché Lehman Brothers non getta la spugna ribassista e solo alcuni Wall Streeters vanno, forse, verso giorni migliori.
Contemporaneamente, nei primi anni di questo secolo, Bobbie (Tousey), madre di Jane, e Debra (Dickerson), sorella di Jane, si risentono per il fatto che Jane abbia lasciato l’Oklahoma per Wall Street. Rimangono tali durante le sue visite occasionali a casa, Bobbie rifiuta persino l’aiuto per estinguere un mutuo. Lei insiste che la terra indiana non viene mai posseduta ma solo temporaneamente prestata.
Questa, in breve, è la trama estremamente intricata di Nagle. Il fatto complicato è che le due parti non si svolgono in sequenza. Sono mescolati. Nelle sue didascalie, Nagle afferma addirittura che intende “rendere chiaro al pubblico che passato e presente si sovrappongono e coesistono. In effetti, sono la stessa cosa”.
Nagle vuole che le questioni difficili con cui sta ingegnosamente facendo i conti vengano registrate come appena diverse ma scomodamente simili allora e adesso. Viene sottolineata non solo l’importanza del commercio, ma anche i pregiudizi razziali e di genere ancora inquietanti. Sottolinea sottilmente il conflitto tra il rendere omaggio al passato travagliato e il desiderio di lasciarselo alle spalle. Fa una battuta stereotipata per concentrarsi brevemente su quella tensione di imbarazzo. Inoltre, solleva la grande questione su chi possiede la terra, un’astuta presa in giro del capitalismo per il quale Wall Street è ora la capitale globale. Tuttavia, insiste, Pearl Street e i suoi dintorni un tempo erano regolarmente percorsi dalla tribù dei Lenape.
Nagle, mantenendo in gioco la sua lodevole e consolidata gravità, merita e si conquista rispetto, ma il suo piano tanto raffinato funziona con l’efficacia che desidera? In tutto il film, i suoi personaggi – quando indossano abiti contemporanei per la maggior parte del tempo e solo a volte aggiungono colletti vintage e simili – non mettono alla prova la comprensione del pubblico? (Lux Haac è il cliente.)
I membri del pubblico alla fine raggiungono Nagle o, dopo un po’, si limitano ad adattare un atteggiamento continuo di “dove siamo adesso” e quindi traggono il meglio da un’opera altrimenti unificante in un mondo che ha così urgentemente bisogno di unificazione?
A proposito di unificazione, sul set di Marcelo Martínez Garcia si svolgono le doppie trame di Nagle che, intenzionalmente o meno, potrebbero essere interpretate come un’ulteriore complicazione della situazione. Dietro il palco, tra un lungo tavolo, un mucchio di rocce grigie e alcuni altri arredi, c’è uno sfondo riflettente che espande il set fino al doppio delle sue dimensioni poiché distorce ciò che viene mostrato alla vista. Qual è il suo scopo, se non quello di dare l’illusione che l’area di gioco sia grande il doppio? Vuole simboleggiare le due epoche con cui Manahatta è preoccupato? NO? Ok, qualunque cosa.
Che cosa Manahatta di cui essere orgoglioso è il cast riunito dall’attenta regista Laurie Woolery e dagli addetti al casting del pubblico, Heidi Griffiths, Jordan Thaler e Joy Dickson. Nella sua biografia, Nassi menziona di essere un membro iscritto della tribù Otoe-Missouria/Cherokee Nation. Ottimo a sapersi. Come sono cambiati i tempi con l’avvento di questa commedia e di altre di origini simili tra le popolazioni. Quanto sono finalmente attuali.
Manahatta è stato inaugurato il 5 dicembre 2023 al Public Theatre e durerà fino al 23 dicembre. Biglietti e informazioni: publictheater.org