Spoiler per “Una sosta a Willoughby” di seguito.
Serling ha detto ai suoi studenti che l’episodio successivo, “Una sosta a Willoughby,” era più forte di “Walking Distance”. Non è chiaro al 100% il motivo per cui lo pensava, anche se una buona ragione potrebbe essere che l’episodio aveva un’esposizione molto meno goffa. La terribile vita adulta del personaggio principale Gart ci viene mostrata in dettaglio, incluso il suo memorabile capo con il suo mantra “Push push push!” Mentre la vita stressante di Martin in “Walking Distance” ci viene raccontata tramite un monologo, mantenuto deliberatamente vago nel tentativo di essere il più riconoscibile e universale possibile, la vita di Gart in “Willoughby”. è estremamente specifico: è triste non necessariamente perché è più vecchio, ma perché si sente costretto a dover affrontare un lavoro complicato e di alta classe e uno stile di vita che non ha mai veramente desiderato.
Un altro vantaggio di “Willoughby”, almeno per gli odiatori di nostalgia tra il pubblico, è quanto calpesta l’idea di un mitico luogo del passato dove tutto era perfetto. “Walking Distance” potrebbe alla fine concludere che è brutto soffermarsi sul passato, ma ci vuole tempo per arrivarci; “Willoughby” chiarisce fin da subito quanto questa cittadina del 1880 apparentemente perfetta sia una fantasia irraggiungibile. Non c’è “solo una sosta” a Willoughby; nel momento in cui Gart scende dal treno ed entra in città, è morto. Si può sostenere che questo sia ancora un lieto fine, poiché Gart sembra finire in un’aldilà paradisiaca, ma il fatto che finisca con la cacciata del suo cadavere implica il contrario. Sia “Walking Distance” che “Willoughby” concludono che non esiste un modo rapido e semplice per risolvere i problemi della vita, ma io (e Serling, a quanto pare) direi che “Willoughby” sostiene la sua argomentazione con molto più precisione.