Per fornire un po’ più di dettagli, i roadshow erano un formato di rilascio comune per i piatti “di prestigio” degli studi. Fu solo a metà degli anni ’70 che le uscite simultanee a livello nazionale divennero comuni, e gli studi erano soliti inviare un numero limitato di copie in tutto il mondo, aprendo città dopo città, spesso suonando per mesi o addirittura anni. I roadshow, a differenza dei loro fratelli a rilascio limitato solo nelle città, non includevano lungometraggi di serie B, cartoni animati o cortometraggi e venivano invece presentati come più “teatrali”. I film verrebbero presentati con intervalli, siparietti e musica di uscita, e al pubblico verrebbero consegnati programmi o addirittura gadget collegati. Gli studi hanno fatto tutto il possibile per far sembrare “grandi” alcuni film.
Ma come detto, quel formato ha funzionato solo per un certo periodo. Dopo che “Cleopatra” ha fallito – è stato realizzato per la cifra smisurata di 31 milioni di dollari – i roadshow erano finiti. Morto. Purtroppo per gli studios, il successo di “The Sound of Music” ha indicato che la tendenza era tornata, e si sono rianimati. “Il vecchio modello funzionerà ancora? Continuiamo a investire”, sembravano dire.
(In una nota non correlata, tieni d’occhio quello che è successo a Hollywood dopo che “Spider-Man: No Way Home” è stato un grande successo. Il genere dei supereroi – come tendenza ascendente di Hollywood – era morto, ma alcuni successi degli ultimi giorni inganneranno gli studi facendoli continuare a spendere troppo.)
E, wow, la spesa! La fine degli anni ’60 vide l’uscita di moltissimi musical costosi – e di scarso successo – provenienti da tutti gli studi di Hollywood. Potrebbe un film come “Camelot” di Joshua Logan, basato su un musical di Lerner & Lowe, essere il prossimo “Tutti insieme appassionatamente”? Potrebbe essere “Finian’s Rainbow” di Francis For Coppola con un vecchio Fred Astaire? Potrebbe (che schifo) “Paint Your Wagon” di Joshua Logan essere quello giusto?
No, no e no.